Il parto non è un processo prettamente fisico, è anche soggetto a variazioni individuali e culturali. Il processo del parto è psicosomatico. Si potrebbe pensare che si svolga obbedendo a condizioni specifiche, intrinseche, legate a fattori biologici e che sia immune da influenze psicologiche, ma non è così. Ha carattere psicosomatico ed ha un decorso tipico, cioè il suo inizio e la sua fine sono determinati esattamente nel tema e la sua base è specificatamente normale, per il suo scopo chiaramente fissato. I processi funzionali condizionati biologicamente, dall’inizio fino alla maternità vera e propria sono agevolati o viceversa inibiti dalle influenze psichiche soggettive della futura madre. Il periodo preso in considerazione in questa trattazione è relativo all’ultima fase della gravidanza. L’approssimarsi del termine è segnalato da alcuni fenomeni precursori: l’utero discende fisicamente nel bacino e sale psicologicamente l’impazienza. E’ come se la natura previdente volesse rendere meno doloroso, dal punto di vista psicologico l’imminente separazione del bambino dalla madre. Così durante queste ultime settimane, inizia il conflitto tra il desiderio di trattenere e il desiderio di espellere, conflitto che normalmente resta limitato alla sfera psichica. Se il conflitto tra le due tendenze, nel senso che non viene gestito in modo equilibrato assume un carattere patologico, cioè primeggia la componente delle forze espulsive, e se queste hanno il sopravvento può verificarsi un parto prematuro. In tutte le donne, felici e deluse, forti e deboli, tenere e ostili, i dubbi, l’agitazione, l’attesa lieta sono schermi davanti alla paura di partorire, che cresce ovviamente con l’approssimarsi del termine. Di questa paura, il timore della separazione ne è il caposaldo. L’identificazione col figlio, che ha luogo durante la gravidanza, fa sì che questo timore non consista solo nell’idea “io sto per perdere il bambino”, ma anche nel fatto che con il parto “il bambino sta per perdermi”. Il processo psicologico è particolarmente interessante perchè due temi opposti dominano generalmente, c’è un ambivalenza tra l’inquietudine appena descritta e l’ottimismo che la vita vincerà. Inoltre la lunga preparazione permette da accumulare grandi riserve di forze protettive. La paura della separazione è costantemente addolcita dall’idea lieta del bambino, a meno che non ci siano combattuta da idee antagoniste ( nascita non desiderata, preoccupazioni finanziarie, relazioni coniugali complicate ). Inoltre, altro aspetto psicologico e che più è vicino il termine, più grande è l’importanza futura che il figlio possiede nella vita affettiva della madre e più intenso è il suo desiderio di vederlo nel mondo esterno. Ogni donna comunque apporta a questa funzione una propria precisa personalità, con determinate attitudini che colorano l’intero processo. Durante il primo periodo del parto ( periodo dilatatorio ), però anche la donna più attiva dovrebbe sottomettersi interamente alle forze interne, poichè l’unico suo compito sta nel sopportare passivamente, volenterosamente, pazientemente il processo stesso. Un voler essere attiva, cioè voler dominare la situazione oppure troppo passiva, può essere controproducente alla normale spontaneità. La situazione cambia nel secondo periodo ( quello dell’espulsione ): tutte le gioie, e i dispiaceri sbiadiscono e perdono ogni importanza, la comunicazione tra l’io della donna e l’ambiente è limitata alle questioni direttamente connesse al parto. La sua attività è completamente impegnata nel portare a termine il suo compito e la sua attenzione è volta ad “ascoltare” i processi dinamici. Secondo George Groddeck , colui dal quale Sigmund Freud prese per sua stessa ammissione il concetto di “Es” ( cioè l’ “inconscio in termini generici” ), i dolori nel partorire nascondono un aliquota di piacere che l’uomo ignora. Sono importanti oltrechè d’interesse le differenze culturali osservate da Helen Deutsch, per capire meglio un ulteriore aspetto psicologico. In alcune tribù per esempio la maternità si verifica in assoluta solitudine, nei boschi o su una spiaggia. Le donne Maori, della Nuova Zelanda, danno alla luce i loro figli nei cespugli in riva al fiume. Le donne Gebrito e Montesca delle Filippine, invece restano in piedi appoggiando l’addome contro una canna di bambù. La donna indiana Warram della Nuova Guinea, lascia il suo villaggio al momento della maternità si reca in una capanna nei boschi e poi ritorna col neonato. Questo per evidenziare un aspetto presente anche nella nostra cultura occidentale, e che secondo la Deutsch dovrebbe essere tenuto maggiormente in considerazione, perchè molte donne nella nostra civiltà, dopo il parto, cercano rifugio in uno stato psicologico di “debolezza” per potersi godere il loro bimbo, in pace e in solitudine, stando lontane dai visitatori.
(*Articolo scientifico )